Il tesoro di Creso

Il tesoro di Creso

Anno 546 avanti cristo. Dopo aver conquistato Sardi, capitale della Lidia il re persiano Ciro il Grande prepara un enorme barbecue per sacrificare agli dei. Però sulla graticola, invece che montoni e capretti fa legare il re deposto, il ricchissimo Creso.

Il poveretto si dispera. “Ah , Solone ,Solone!” grida.  “Aveva ragione  Solone!“  “Chi è questo Solone?“, chiede Ciro, e ordina di liberare Creso. Troppo tardi, le fiamme sono già alte. Ma all’improvviso un temporale spegne il rogo, e Creso si salva: Giove ha fatto la grazia. Ancora più incuriosito, e anche turbato, Ciro chiede a Creso di raccontargli la sua storia. L’ex sovrano non si fa pregare “quando ero re”, spiega, “venne a farmi visita Solone il saggio, l’uomo che ha dato ad Atene le sue leggi. Pieno di orgoglio io gli mostrai i miei tesori e gli chiesi: “Secondo te chi è l’uomo più felice della terra? Speravo mi dicesse: “Sei tu”, invece dichiarò che era un certo Tello. Deluso, gli chiesi perché Tello era così felice. “Perché ha una splendida prole ed è vissuto così tanto a lungo da conoscere i suoi nipoti”, rispose Solone. Inoltre è morto eroicamente per la patria, e gli hanno fatto un monumento. Non si può chiamare felice un uomo senza sapere se è stata felice la sua esistenza, fino alla fine. Questo è ciò che conta, non i tesori. “Vedi com’è la vita Ciro?“, concluse Creso,“ oggi le tue truppe saccheggiano i miei tesori e tu sei contento ma l’oro che prendono non è più mio, è tuo. Fà attenzione perché oggi tu usi le mie ricchezze contro di me, ma domani qualcuno potrebbe usarle contro di te”.

Secondo la leggenda Ciro fu così colpito da queste parole che fece liberare Creso e restituirgli la decima parte dell’oro saccheggiato. Forse pensò che il tesoro era sacro agli dei, ed era meglio non sfidare troppo la fortuna.

Duemilaquattrocento anni dopo la storia gli darà ragione.  Anno 1966 dopo Cristo. Un contadino di Usak, una cittadina della Turchia occidentale poco distante dall’antica capitale Sardi, decide di piantare verdure sulla collina di Toptepe. Fino ad allora non l’aveva fatto nessuno, perché su quel posto giravano leggende che parlavano di cimiteri e di fantasmi. Ma il contadino, si racconta, inizia a zappare in un momento speciale: sono le sei del mattino del 06 giugno del 1966 (06 del 6/6/66: il sei era il numero magico per i seguaci della religione di Zoroastro, diffusa anticamente in quelle zone) e bastano pochi colpi di vanga per rivelare una grotta fiabesca, da far invidia a quella di Aladino. Vasi d’oro e d’argento un corredo funebre perfettamente conservato. L’uomo non riesce a conservare il segreto, e pochi giorni dopo la collina riceve la visita dei tombaroli. Gli oggetti preziosi, compresa una meravigliosa brocca da vino in argento con il manico a forma d’uomo, spariscono rapidamente. Restano solo le ossa rotte del re sepolto calpestate e ridotte in polvere.

La stessa sorte capita alla collina di Aktepe, a poca distanza. Il fabbro Osman Usmal penetra in una grotta, ma trova l’accesso sbarrato da solide rocce, e le fa saltare con la dinamite. Ed ecco che gli appare con il volto ancora avvolto dalla polvere dell’esplosione il volto enigmatico di una straordinaria sfinge.

Un terzo tumulo viene scoperto nel corso di una battuta di caccia. All’interno su un letto funebre gli scavatori trovano un letto funerario di pietra, decorato con affreschi colorati. I tombaroli staccano pezzi di intonaco e li vendono, insieme al corredo funebre, agli antiquari di Smirne. Di lì i tesori prendono il volo verso l’Europa e l’America. Nel giro di pochi mesi sui tesori della Lidia torna il silenzio.

Che fine hanno fatto? Uno straordinario servizio del mensile di archeologia Archeo, rivela finalmente il segreto, che sembra un avventura di Indiana Jones. E ‘ il 1970 quando il giornalista turco Ozgen Acar viene contattato dal collega inglese Hopkirk. “ Al Metropolitan  Museun di New York sono arrivati attraverso il mercato clandestino ori e argenti straordinari”, dice Hopkirk. “Pare che vengano dalla zona di Smirne, in Turchia. Ne sai qualcosa?” Acar comincia ad indagare e scopre una pista. Pochi anni prima la polizia era intervenuta in una lite a colpi di pistola tra tombaroli, e aveva confiscato 150 oggetti preziosi proprio nei dintorni di Smirne. Il giornalista si precipita sul posto e parlando con gli antiquari sente parlare della grotta della Sfinge e dei suoi tesori. Dove sono adesso’. Nessuno lo sa, ma tutti ricordano precisamente come erano fatti gli oggetti, così belli da attirare l’attenzione. Poco alla volta il giornalista compila un vero e proprio catalogo, che spedisce ai maggiori musei del mondo. “Chi li ha visti’ chiede”. Ma tutti rispondono no, noi siamo gente seria, non compreremo mai oggetti così importanti senza accertarci della provenienza.

Passano 14 anni e Acar si è quasi rassegnato quando gli arriva la notizia che il Metropolitan Museum di New York espone per la prima volta 55 capolavori archeologici “provenienti dalla Grecia orientale”. Prende il primo aereo per gli USA e riconosce gli oggetti, anche se non gli ha mai visti. Sono proprio i tesori che gli abitanti di Uzak gli avevano descritti nei minimi dettagli. Tornato in Turchia informa le autorità, ma tutti gli dicono che non c’è niente da fare. Secondo le leggi Americane, nel momento in cui gli oggetti raggiungono gli Stati Uniti l’acquisto è legale, a meno che il paese di provenienza dimostri, con un vero e proprio processo, che l’opera è appartenuta prima a un museo o è stata trafugata da una zona archeologica precisa.

Agli USA non interessa se un oggetto è turco, greco o italiano: quando arriva negli Stati Uniti diventa americano, a meno che qualcuno dimostri che è stato rubato. Un compito difficile, ma Acar non si perde d’animo, Fa una scoperta: Gli scavatori clandestini che avevano staccato il grande affresco di Aktepe si erano dimenticati un frammento, che combacia perfettamente con i reperti in mostra a New York: è la prova provata che il dipinto viene proprio dalla Turchia e che è stato asportato senza autorizzazione. Un'altra prova sono le matrici in bronzo rimaste nelle tombe, perché agli scavatori clandestini interessava solo l’oro e l’argento. Il giornalista verifica che alcuni gioielli in mostra sono stati fusi proprio con quelle forme.

Le  ricerche proseguono, e si scopre che il corredo di Aktepe era stato venduto sul mercato antiquario di Ismir (Smirne), quelli di Toptepe erano invece passati nelle mani di mercanti antiquari di Kapaliçarsi, il Gran Bazar di Istambul.

Questi oggetti, poi, erano transitati per l’Europa con una serie di scali clandestini (Monaco, Basilea, Zurigo) ed infine avevano preso il volo per gli USA dove erano stati comprati dal Metropolitan Museum a più riprese fino a 250 oggetti.

La questione legale tra il governo Turco e il Museo durò sei anni: la commissione di inchiesta composta dai due paesi lavorò sui dati della ricostruzione di Acar e analizzo le prove che risultarono incontestabili.

Il Metropolitan Museum ha restituito il tesoro di Creso alla sua terra d’origine: questo stupefacente patrimonio archeologico è al suo posto, nella X sala del museo delle civiltà Anatoliche di Ankara, esposto all’ammirazione dei visitatori.

Nel 1994 Acar è stato insignito di un riconoscimento pubblico dal Governo della Repubblica di Turchia, per questa impresa. Se lo meritava davvero: la sua caccia tenace era durata venticinque anni.

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